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L’inferno di Bolsonaro nelle carceri brasiliane, drammatica situazione dei detenuti tra violenze e covid


Le carceri brasiliane ai tempi del coronavirus hanno l’aspetto di un girone dantesco. È questa l’immagine che restituisce Sergio Grossi, ricercatore dell’Università di Padova e dell’Universidade Federal Fluminense di Rio de Janeiro, specializzato in Educazione e Carcere Tornato in fretta e furia in Italia a causa del collasso del sistema sanitario, pubblico e privato, del Paese – che finora ha registrato più di due milioni di contagiati da coronavirus e più di 80mila morti – il ricercatore racconta  la situazione nelle carceri brasiliane.Nelle carceri brasiliane sono rinchiuse 800mila persone e l’assistenza sanitaria era assente già prima dell’arrivo della pandemia. Malattie come la tubercolosi sono endemiche e ad ammalarsi sono sia i detenuti che le guardie carcerarie.

La malattia del sistema respiratorio rappresenta un fattore di rischio ulteriore per il Covid-19 e le statistiche sulla diffusione nelle carceri non sono incoraggianti. Solo a giugno negli istituti penitenziari brasiliani i contagi sono cresciuti dell’800%.

Quanto a numeri, sono più di 2351 i detenuti risultati positivi ai test, ma la quota è destinata a crescere perché ci sono quasi altri mille casi sospetti in attesa di conferma. Secondo il Dipartimento penitenziario nazionale (Depen) la mortalità per coronavirus in carcere è 5 volte maggiore rispetto a quella del Paese.
“Due settimane fa – osserva Grossi ai nostri microfoni – è morto un ragazzo di 28 anni che era stato arrestato perché trovato in possesso di pochi grammi di marijuana”.

Il sovraffollamento nelle carceri brasiliane supera il 200%. Le persone vivono ammassate ed è impossibile mantenere il distanziamento sociale prescritto dall’Oms per ridurre il rischio dei contagi.
Ad aggravare questa situazione ci sono le politiche del presidente Jair Bolsonaro, che da tempo parla della possibilità per gli agenti di polizia penitenziaria di non indossare la mascherina.

Il ricercatore ha svolto una ricerca etnografica all’interno delle carceri brasiliane ed ha riscontrato quanto succede più a nord, negli Stati Uniti, ma in generale in molti contesti del mondo. I detenuti, infatti, sono principalmente poveri ed afrodiscendenti.
“Troviamo quella che si chiama ‘selettività penale’ – osserva Grossi – quindi la classe sociale conta, la razza conta e conta anche il genere.

La gestione della pandemia, del resto, in Brasile è un vero e proprio disastro, al punto che c’è chi parla apertamente di “genocidio”.
È il caso di Frei Betto, il celebre teologo della liberazione, che cinque giorni fa ha scritto una lettera aperta in cui sostiene che “”questo genocidio non scaturisce dall’indifferenza del governo Bolsonaro. È intenzionale. Bolsonaro si compiace dell’altrui morte”.
“Del resto – aggiunge Grossi – il presidente brasiliano ha ripetuto più volte che l’errore della dittatura militare è stata quella di aver torturato e non ucciso”.

La gravità della situazione carceraria in Brasile ha indotto 200 ong attive nella difesa dei diritti umani a inviare un documento alla Commissione interamericana dei diritti umani dell’Onu e alla stessa Organizzazione mondiale della sanità, per denunciare le mancanze del governo.

Radiocittafujiko.it

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