Progetto InnocentI

Il caso Alfredo Cospito e la scelta demagogica del Governo Italiano che ha già dimenticato la condanna della CEDU per tortura nel caso Provenzano

Ministro della Giustizia Carlo Nordio

La morte annunciata di Alfredo Cospito, l’anarchico condannato a venti anni di reclusione per l’attentato alla Scuola Carabinieri di Fossano senza tuttavia causare morti, condannerà l’Italia per l’ennesima volta per tortura. E’ già accaduto nel 2018 con il caso Bernardo Provenzano, allorché la CEDU ritenne illegittimo il mantenimento del regime ex 41 bis O.P. nonostante il detenuto fosse ormai in stato vegetale. Anche allora l’opinione pubblica si schierò contro la revoca del durissimo regime detentivo.

In fondo l’Italia è uno Stato di Diritto a correnti alterne. Sul piano politico siamo i primi a firmare le Convenzioni Internazionali ma poi facciamo fatica ad essere consequenziali. Del resto soltanto con la L. 110/2017 il codice penale italiano ha visto l’introduzione del delitto di tortura, eppure avevamo firmato la Convenzione contro la tortura di New York già il 10.06.1984. Dimenticanza, forse. C’è voluto il caso di Giuseppe Gulotta, assolto in revisione nel 2012, dopo ventidue anni di carcere, per rendere improrogabile la codificazione del reato.

Adesso il caso di Alfredo Cospito ha riacceso il dibattito sul 41 bis .O.P.. Misura emergenziale contro i mafiosi introdotta nel 1992, dopo la strage di Capaci, di fatto equiparabile alla tortura, prevede la sospensione del trattamento detentivo finalizzato alla rieducazione, attraverso l’isolamento  quasi completamente del detenuto, che viene privato  della socialità, e controllato  giorno e notte anche in cella con una videosorveglianza continua. Una misura che non è una pena ma è come se lo fosse, e non ha scadenza, può essere prorogata all’infinito con decreto del Ministro della Giustizia.

Non è diversa dalla pena di morte, cambia solo il determinismo causale, al posto del boia uccide la pena, una vera e propria “morte per pena”.

“Quello del 41 bis è un caso praticamente unico in Europa, con solo pochi esempi di altri regimi simili che possono essere paragonati al nostro. Anche in altri Paesi esistono regimi speciali che sostanzialmente sottopongono persona detenuta a restrizioni superiori a quelle di altri detenuti. Questi sono molto più duri nei Paesi che hanno dovuto confrontarsi con il terrorismo o in diversi Stati dell’Europa dell’Est, che hanno regimi carcerari più severi e di derivazione sovietica. Ma quello del 41 bis resta un regime che ha delle sue unicità”, spiega a Today.it  Adriano Martufi, ricercatore di Diritto penale all’Università di Pavia e Guest Reaserch Fellow all’università di Leiden, nei Paesi Bassi, che è un esperto di questioni legate ai diritti dei detenuti.

 

In Spagna i detenuti ritenuti più pericolosi sono sottoposti al ‘regimen cerrado’, il carcere più duro che consiste nell’isolamento in cella e un massimo di tre ore di attività all’aria aperta solitamente con soltanto un altro detenuto o al massimo con altri tre. Questo regime viene utilizzato principalmente per i militanti dell’Eta, il gruppo armato indipendentista basco. Sebbene non esistano carceri speciali per questi detenuti, questi vengono inviati in strutture molto lontane dalla loro città di origine, allo scopo di rendere difficili i contatti con i proprio familiari o anche con altri membri dell’organizzazione. Proprio come avviene con il 41 bis in Italia.

La revisione della decisione di affidamento al ‘regimen cerrado’, viene effettuata da una specifica commissione ogni tre mesi e confermata dalla Segreteria generale degli istituti penitenziari di Madrid. Il regime è stato criticato dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, un organo del Consiglio d’Europa, che ha sottolineato come questi detenuti siano spesso sottoposti a violenze e il fatto che questa misura che dovrebbe essere speciale e limitata nel tempo, mentre viene spesso prolungata per periodi troppo lunghi.

Uno degli Stati che più recentemente ha introdotto regimi di carcere più duro è il Belgio. Dopo gli attentati di Parigi del 2015 il Paese ha introdotto il D-radex, un rigido regime di detenzione per i detenuti ritenuti estremisti o terroristi islamici, che dovrebbe servire innanzitutto a evitare che facciano proselitismo in prigione e poi a de-radicalizzarli. Esistono nella nazione due sezioni D-radex, a Ittre e Hasselt, ciascuna con circa 20 celle. Queste sezioni sono come prigioni all’interno della prigione.

I detenuti in queste sezioni non hanno contatti con gli altri detenuti e sono soggetti a regole di confinamento più severe, restrizioni alle telefonate e hanno diritto a visite esterne solo sotto la supervisione di una guardia. Hanno diritto a solo un’ora d’aria al giorno, a gruppi di tre, sotto controllo e senza avere quasi nessun accesso ad attività, formazione e lavoro in carcere. In questo regime è ad esempio detenuto Salah Abdeslam, uno dei membri del commando responsabile degli attacchi coordinati di Parigi del 13 novembre 2015. Nel 2021 alcuni dei detenuti sottoposti a questo regime hanno vinto una causa che ha riconosciuto la disumanità delle loro condizioni di detenzione e l’assenza di una vera possibilità ricorso, concedendo loro un’indennità di 2.500 euro ciascuno per danni morali.

Uno dei regimi più simili al 41 bis nell’Unione europea esiste in Polonia. Lì i detenuti ritenuti più pericolosi per aver commesso crimini di una particolare crudeltà, perché ritenuti responsabili di aver attentato alla sovranità o all’integrità della Repubblica, per aver commesso violenze contro altri detenuti o agenti o anche per, come in Italia, essere ritenuti membri della criminalità organizzata, possono essere messi nella cosiddetta sezione N. Il nome deriva dalla prima lettera della parola ‘niebezpieczny’, che in polacco significa appunto pericoloso.

Questi detenuti sono sottoposti a una costante supervisione dei movimenti, all’esterno e all’interno della cella. I detenuti ‘pericolosi’ possono lavorare, studiare, pregare, fare attività sportive, educative e culturali ma solo nella sezione separata. Tutti i loro movimenti sono possibili solo sotto scorta e ogni volta che lasciano la cella sono sottoposti a severi controlli personali e alcuni denunciano che spesso sono anche troppo invasivi e violenti. Questo regime era stato condannato nel 2012dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che nel caso Piechowicz ha puntato il dito contro Varsavia sostenendo che un regime del genere se non è giustificato da motivazioni valide e soprattutto se non è limitato nel tempo ma è continuativo, viola l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani che proibisce la tortura o i trattamenti inumani o degradanti. Da allora il Paese ha leggermente corretto il tiro ma il regime resta in vigore ed è sempre molto duro.

 

 

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