Progetto InnocentI

La pretesa italiana di una “giurisdizione universale” sul patrimonio di Vincenzo Scandurra residente nel Principato di Monaco

Il Tribunale di Milano con il decreto del 14.03.2022 ha confiscato la pressoché totalità dei beni nella disponibilità materiale di Scandurra Vincenzo, cittadino italiano ma residente dal 2004 nel Principato di Monaco, ove è titolare di una storica impresa per la commercializzazione di auto di lusso e d’epoca in diversi paesi europei e negli  Stati Uniti d’America.


Sulla ritenuta fittizieità della residenza estera, il Tribunale di Milano richiesto dalla Procura della Repubblica di Pavia, ha ordinato la confisca del suo patrimonio in ragione della presunta dedizione di Scandurra Vincenzo all’evasione fiscale. In altre parole, una volta disconosciuta l’effettività della residenza straniera, l’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi da parte dello Scandurra negli ultimi venti anni è servita al Tribunale  per ritenere la totale sottrazione al fisco di tutti i redditi conseguiti nel principato di Monaco, con conseguente configurazione della pericolosità sociale ai sensi del disposto di cui alla lett. b) dell’art. 1 del decreto legislativo 159/2011 (Codie antimafia).

Ora, però, il Tribunale di Pavia, con una sentenza divenuta irrevocabile, resa dal giudice Luisella Perulli,  ha assolto Scandurra perché il fatto non sussiste, si legge nella sentenza che la residenza nel Principato, contrariamente a quanto affermato dal P.M., è da ritenersi effettiva sicchè lo stesso non poteva essere sottoposto alla pretesa tributaria italiana.

Scandurra rispondeva in quel processo penale di plurimi reati di evasione fiscale per diversi milioni di euro  e delle consequenziali condotte di dissimulazione del suo patrimonio allo scopo di sottrarre al fisco ogni garanzia di recupero, gli stessi fatti per cui era stata intrapresa l’azione di prevenzione poi sfociata nel decreto di confisca del Tribunale di Milano.

Adesso sarà la sezione misure di prevenzione di Milano, cui ha hanno fatto ricorso i difensori del proposto Avvocati Baldassare Lauria e Giovanni Paolo Noli, a decidere se quella confisca debba essere confermata oppure revocata.

Ma, il caso Scandurra presenta un’importante questione in ordine alla rivendicata giurisdizione dell’Autorità italiana, contestata dalla difesa in ragione del fatto che le attività lucrogenetiche, ritenute illecite dal Tribunale di Milano secondo la legge italiana, sono state in realtà poste in essere all’estero, attraverso società di diritto monegasche riconducibili allo Scandurra.

Tant’è che il disposto di cui al quarto comma dell’art. 18 del decreto legislativo 159/2011 prevede la possibilità di iniziare il procedimento di prevenzione patrimoniale anche in caso di residenza all’estero “….relativamente ai beni  che si ha motivo di ritenere  che siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”. La particolare previsione normativa, lungi dall’essere una mera ripetizione dell’omologa norma esposta nell’art. 20 del medesimo codice antimafia, fissa irrimediabilmente il pertinente potere ablativo alla relazione territoriale” del singolo cespite al manifestarsi (in terra italiana) della pericolosità sociale. Così, secondo la sentenza delle SS.UU. della Cassazione n. 10281 del 25.10.2007/06.03.2008 “……E’ il rapporto tra la persona ritenuta socialmente pericolosa e il territorio che giustifica la funzione delle misure di prevenzione personali, teleologicamente orientate a tutelare la collettività, che sul territorio insiste, da probabili manifestazioni antisociali o addirittura criminose e a garantire quindi l’ordinato e pacifico svolgimento delle relazioni sociali, traendo indiretta ma probante conferma di tale assunto dal disposto della L. 575/65 art. 2 ter  comma 7 – ora riprodotto in seno al decreto legislativo 159/2011 art. 18  comma 4 –  che, “nel presupposto evidente della non “applicabilità” in concreto nei confronti di persone assenti, residenti o dimoranti all’estero delle misure di prevenzione personali, consente l’applicazione delle misure di  prevenzione patrimoniale, limitatamente a determinate categorie di beni, da attivarsi nel luogo di ultima dimora del soggetto assente, ovvero residente o dimorante all’estero: prevede, cioè, “lo svolgimento di un procedimento di prevenzione “atipico” a carico di tali soggetti, nell’esclusiva ed eventuale prospettiva di applicare le misure di prevenzione patrimoniali, le uniche che, nella situazione considerata, mantengono vivo il legame col territorio e che presuppongono in ogni caso la “deliberazione” positiva in ordine alla sussistenza della pericolosità sociale del soggetto di riferimento (cfr. in senso conforme Cass. SS. UU. 25/3/1993, Tumminelli)”.

Fermo quanto sopra, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di significare che, ai fini dell’applicazione del su menzionato art. 18, comma 4,   lo spostamento all’estero del proposto deve avere il carattere se non della definitività, quanto meno della stabilità, non potendo perciò essere richiamate le nozioni civilistiche di residenza e – soprattutto – di dimora (della quale ultima, peraltro, il codice civile non offre alcuna definizione formale – che, non a caso, la giurisprudenza della suprema Corte ha utilizzato solo in funzione della risoluzione delle problematiche connesse all’individuazione del luogo di “ultima dimora” del proposto risultato assente o trasferitosi al di fuori del territorio nazionale. Del che costituisce indiretta conferma logica la constatazione che, diversamente – ove, cioè, la “dimora” di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 18, comma 4 valesse a designare semplicemente il luogo di abitazione concreta del proposto, senza alcuna altra specificazione – sarebbe fin troppo semplice invocare la norma in questione allo scopo di pervenire ad un significativo restringimento dell’area dei beni suscettibili di sequestro e confisca, laddove l’esclusione della categoria delle res di valore sproporzionato, rispetto al reddito o all’attività svolta dal proposto, ha la sua ragion d’essere nella circostanza che l’operatività di quest’ultimo al di fuori del territorio nazionale non rende possibile un affidabile accertamento in tal senso (cfr. sez. 6, sent. n. 51640 dell’ 08.11.2016, Rv. 268824).

In altre parole, il potere ablativo, disciplinato dal decreto legislativo 159/2011, che trova la sua “base legale” nella correlazione temporale tra la manifestata pericolosità sociale del proposto ed il cespite ablato, non può spingersi fino all’apprezzamento delle condotte di pericolosità manifestatesi al di fuori dei confini nazionali. D’altro canto, la dimensione spazio-temporale della pericolosità sociale oltre che costituire il presupposto legale del potere di confisca è al tempo stesso il limite di esso, e nell’ordinamento non si rinviene alcun riferimento normativo ad un potere di valutazione extraterritoriale di “specifiche” condotte che in ipotesi potrebbero non assumere il significato di illiceità secondo le leggi di quel paese. Peraltro, anche in ossequio al principio di legalità, è sufficiente osservare come i fatti dimostrativi della pericolosità sociale sono quelli contemplati dall’art. 4 del codice antimafia ove si fa riferimento a specifiche figure delittuose codificate da norme nazionali.

Nel caso dello Scandurra, invece, il potere ablativo esercitato dal Tribunale milanese ha raggiunto un’area generatrice di ricchezza, quella prodotta all’estero, in ordine alla quale la valutazione dei primi giudici non era consentita, anche in considerazione della diversa disciplina degli illeciti tributari o societari, in ipotesi, commessi all’estero.

La Corte di appello di Milano dovrà stabilire, dunque, se il potere ablativo previsto dal codice antimafia si pone in termini assoluti oppure incontra il limite della territorialità.

A  nostro parere, ove si ritenesse l’estensione della giurisdizione italiana alle attività poste in essere in territorio straniero si legittimerebbe una sorta di giurisdizione universale delle Autorità di prevenzione Italiane, che in ipotesi potrebbe ritenere illecita (secondo la legge. Italiana) ciò che illecito non è (secondo la legge dello Stato nel cui territorio è stata realizzata la condotta), con ovvie ricadute sul principio del rispetto della sovranità”, ha dichiarato l’Avv. Baldassare Lauria.

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