Progetto InnocentI

La Corte di Cassazione ammette la revisione della condanna di Rosario Cascio per associazione mafiosa

La condanna di Rosario Cascio, nell’operazione c.d. Scacco Matto, era preclusa da un precedente giudicato di segno opposto. Rosario CASCIO, detto Sarino, dopo un controverso processo caratterizzato da due sentenze di annullamento della Cassazione era stato, in ultimo, condannato per associazione mafiosa nel 2005dalla Corte di Appello di Palermo alla pena di anni sei di reclusione. La sentenza aveva accertato la partecipazione del CASCIO all’associazione mafiosa con la quale, unitamente a RIINA Salvatore, PROVENZANO Bernardo, SIINO Angelo ed altri, aveva posto in essere una attività di controllo degli appalti pubblici e privati in Sicilia. I fatti contestati al CASCIO segnavano, secondo la condanna, il cambio di passo della mafia siciliana che era passata da un’attività parassitaria (con l’imposizione delle tangenti) ad un’attività imprenditoriale capace di penetrare e controllare il tessuto produttivo siciliano.

In ragione di detta sentenza di condanna Cascio Rosario fu sottoposto alla misura di prevenzione personale subendo la confisca della pressocchè totalità del suo patrimonio, stimato dagli inquirenti in un valore pari d 500 milioni di euro. Fra i beni confiscati, le aziende agricole, la Calcestruzzi Belice, Vini Cascio etc. La pena inflitta al CASCIO è già stata scontata, nel carcere di Saluzzo, ma i segni di quella condanna ci sono ancora, e sono gravi.

La revisione della condanna, avanzata nel suo interesse dall’Avv. BALDASSARE LAURIA, è stata ammessa dalla Corte di Cassazione dopo che la Corte di Appello di Caltanissetta aveva dichiarato l’inammissibilità. Cascio Rosario, infatti, nell’ambito di altro processo penale era stato, prima, condannato dal Tribunale di Trapani nel 1997 e, poi, assolto perché il fatto non sussiste dalla Corte di Appello di Palermo nel 1999. La sentenza di assoluzione aveva giudicato i medesimi fatti di quelli della sentenza di condanna, e benchè successiva non rilevò l’esistenza del giudicato assolutorio.

Secondo la difesa, CASCIO è stato giudicato due volte per gli stessi fatti, si tratta di una violazione del divieto di bis in idem.

Secondo la Cassazione  “la ricostruzione dei fatti compiuta dalla sentenza di condanna appare smentita dagli accertamenti compiuti nel giudizio di assoluzione”.

 

 

 

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