Chico Forti è accusato di frode e circonvenzione di incapace per l’acquisto di una struttura alberghiera, il Pikes Hotel, e di concorso in omicidio di Dale Pike, figlio di Anthony con il quale Dale stava trattando per l’acquisto dell’immobile. Forti si è sempre dichiarato innocente, vittima di un grosso errore giudiziario.
E’ stata un’odissea, ma non abbiamo mai mollato. Non sappiamo ancora quando rientrerà in patria perché è una questione di tempi tecnici, ma io penso che entro qualche settimana sarà qui. Non vediamo l’ora di riabbracciarlo”. Gianni Forti non nasconde l’emozione dopo la telefonata ricevuta da Giorgia Meloni lo scorso venerdì 1° marzo, in cui la premier da Washington ha annunciato la firma dell’autorizzazione per il trasferimento in Italia di Enrico Forti, soprannominato “Chico”, dopo 24 anni di detenzione in un carcere della Florida, negli Stati Uniti, in seguito a una condanna all’ergastolo per un omicidio che ha sempre sostenuto di non aver commesso. Un colpo di scena, secondo molti, arrivato dopo un incontro di Meloni con il presidente americano Joe Biden. Gianni Forti è lo zio di Chico: è stato 50 volte negli Stati Uniti per perorare la causa di suo nipote e chiedere la revisione del processo, denunciando diverse presunte falle nelle indagini americane che hanno portato alla sua condanna.
Dopo trattative andate avanti per anni, il governatore repubblicano della Florida Ron DeSantis ha approvato il trasferimento di Forti su richiesta del dipartimento di giustizia e del governo italiano. Ci vorranno settimane, o forse qualche mese, perché si completi l’iter burocratico e avvenga l’estradizione. Al rientro, Chico Forti sconterà la sua pena in Italia e potrà accedere ai benefici previsti dalla nostra legge: la libertà vigilata o i domiciliari, fino all’ipotesi della piena libertà se ricorreranno certe condizioni come la buona condotta, secondo quanto prospettato da Alexandro Maria Tirelli, avvocato penalista e consulente della famiglia Forti.
Tra appelli dei movimenti innocentisti per una revisione del processo, vecchie iniziative di politici su un suo trasferimento in Italia poi cadute nel vuoto, inchieste giornalistiche e televisive al riguardo, del caso di Chico Forti si è sempre (stra)parlato negli ultimi anni. La vicenda è molto intricata e la ricostruzione dell’omicidio per cui è stato condannato è per certi versi ancora poco chiara. Come stanno le cose? Senza la pretesa di essere esaustivi, andiamo con ordine.
La storia di Chico Forti, in breve
Enrico Forti, detto Chico, è nato a Trento l’8 febbraio 1959 e, prima di diventare protagonista delle pagine di cronaca giudiziaria, è stato campione di windsurf e produttore televisivo. Nel 1987 un incidente in auto interrompe la sua parabola sportiva e Forti inizia a dedicarsi alla produzione di documentari dedicati agli sport estremi. Partecipa al quiz televisivo Telemike condotto da Mike Bongiorno, dove nel 1990 vince un grosso premio in denaro che gli permette di trasferirsi negli Stati Uniti, per occuparsi di produzioni video e mediazioni immobiliari. Lì, poco dopo, sposa la modella Heather Crane, madre dei suoi tre figli.
Dal sogno americano al carcere
Sembra il classico sogno americano. Tutto cambia qualche anno dopo, quando Forti viene accusato di aver ucciso l’imprenditore australiano Dale Pike, 42enne di Sydney, il cui cadavere viene ritrovato il 16 febbraio 1998 in un boschetto sulla spiaggia di Sewer Beach, vicino a Miami, in Florida. È stato ucciso con due colpi di pistola calibro 22 sparati alla nuca e denudato (particolare, quest’ultimo, che la polizia locale interpreta come una messinscena per far credere che l’omicidio fosse avvenuto in ambito omosessuale). Dale era il figlio di Anthony Pike, con cui l’imprenditore trentino era in trattativa per acquistare il Pikes hotel, a Ibiza, un locale molto popolare negli anni Ottanta, frequentato da celebrità internazionali.
L’ipotesi dell’accusa è che qualcuno avesse informato Dale che suo padre, affetto da demenza senile e malato di Aids, stava per essere raggirato da Forti, che avrebbe voluto ottenere in modo fraudolento il 100% dell’hotel, approfittando del precario stato di salute di Pike senior. Scoperto il presunto tentativo di inganno, il figlio di Pike (contrario alla vendita) avrebbe provato a impedirlo e per questo sarebbe stato ucciso da Forti, sempre secondo le accuse. Pike junior arriva a Miami da Madrid in aereo, il 15 febbraio del 1998: a prenderlo in aeroporto è proprio Chico Forti. Gli dà un passaggio in auto fino al parcheggio di un ristorante nella località di mare di Key Biscayne, dove lo lascia intorno alle 19. Poche ore dopo, però, viene trovato morto. Dale Pike sarebbe stato ucciso lì vicino tra le ore 20 e le 22, quindi poco dopo l’incontro con Chico.
In un primo momento, davanti alla polizia che sospetta subito di lui, Forti nega di essere stato con l’imprenditore australiano: una dichiarazione falsa che peserà molto sull’esito del processo. Convocato come persona informata sui fatti, “al fine, forse, di spaventarlo, gli viene detto che anche Tony Pike (il padre di Dale) è stato ammazzato. E Chico, in effetti, si spaventa, tanto da commettere un gravissimo errore: mente, sostenendo di non aver mai incontrato Dale Pike”. Pochi giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Dale Pike, Forti ritratta spontaneamente, racconta alla polizia di averlo lasciato davanti a un parcheggio poco dopo averlo prelevato in aeroporto a Miami, in un interrogatorio che avviene comunque senza un avvocato, in palese violazione del diritto americano. Consegna alla polizia anche alcuni documenti relativi al rapporto d’affari con il padre dell’uomo ucciso: in quell’occasione viene arrestato e interrogato per 14 ore. È la sera del 20 febbraio 1998.
Il 15 giugno del 2000, Chico Forti viene giudicato colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio” dell’omicidio dell’australiano. Dopo l’arringa finale dell’accusa e prima del pronunciamento della giuria popolare, la difesa al processo non replica: una condizione che, secondo i familiari e i sostenitori di Chico, sarebbe stata determinante per la sua condanna. E difatti viene condannato all’ergastolo, senza possibilità di condizionale, che inizia subito a scontare nel “Dade Correctional Institution” di Florida City, un carcere di massima sicurezza poco distante da Miami. Forti si è sempre detto innocente e ha dichiarato di essere vittima di un errore giudiziario, iniziando una lunga battaglia, prima processuale e poi anche diplomatica e politica, per tornare in Italia, sulla base della Convenzione europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, chiedendo di poter scontare la pena nel suo Paese di origine.
I punti oscuri e la versione degli innocentisti
Gran parte di ciò che sappiamo su questo caso è frutto delle informazioni reperibili sul sitoche chiede la liberazione di Chico Forti: è gestito da amici e conoscenti dell’imprenditore trentino, ricostruisce l’omicidio e la vicenda giudiziaria con una serie di documenti e dà una versione innocentista. In sintesi, gli “innocentisti” evidenziano alcune irregolarità avvenute durante gli interrogatori di Forti, esprimono dubbi sul movente, denunciano la mancanza di tracce di Dna e impronte sul luogo del crimine, nonché l’assenza di testimoni e del test della polvere da sparo. Durante il processo, la difesa ha provato ad orientare le accuse verso Thomas Knott, un tedesco vicino di casa di Forti, condannato in passato per truffa e amico di Anthony Pike, il padre di Dale. In una ricostruzione della criminologa Roberta Bruzzone, consulente della famiglia Forti e autrice del libro “State of Florida vs Enrico Forti. Il grande abbaglio”, la compravendita del Pikes hotel di Ibiza sarebbe sì stata una truffa, ma ai danni di Chico Forti.
Bruzzone dice: “Nel novembre del 1997 Tony Pike si reca a Miami per trovare l’amico Thomas Knott e in quest’occasione conosce anche Chico Forti, che ovviamente è all’oscuro della vera indole di Knott e Pike. Ai due truffatori viene un’idea diabolica: provare a vendere a Chico Forti il Pikes hotel, che ormai è in rovina e rappresenta solo un peso. Di più, Knott e Pike definiscono quell’albergo “l’elefante bianco”, ossia “una fregatura colossale”, dal momento che a causa dei debiti non è nemmeno più di proprietà di Pike, ma di una società che lo controlla al 95%. Pike, inoltre, a causa della sua malattia è stato interdetto e quindi la sua firma non ha alcun valore legale. Chico Forti però, essendo in buona fede, pensa che l’acquisto del Pikes possa essere un buon affare e accetta la proposta. Nel gennaio 1998 Forti e Pike firmano l’accordo. Knott, su esplicita richiesta di Forti, resta fuori dall’affare. L’italiano, infatti, è venuto a conoscenza della natura truffaldina del tedesco: a fargli la soffiata è stato lo stesso Pike, forse per fingere un gesto di complicità”.
Fatto sta che Forti viene arrestato per frode, circonvenzione di incapace e concorso in omicidio. Dopo essere stato liberato su cauzione, nei mesi seguenti è stato assolto con formula piena in relazione alla frode e alla circonvenzione di incapace. L’elemento della presunta truffa sulla vendita dell’albergo, tuttavia, viene usato dall’accusa come movente nel processo dell’omicidio, stando alla versione fornita dai sostenitori di Forti. “Venuto meno il movente, di conseguenza, dovrebbe venir meno anche l’accusa di omicidio, ma così non è”, argomenta Roberta Bruzzone. La condanna arriva con queste parole, pronunciate dal giudice Victoria Platzer in chiusura del processo:
La Corte non ha prove che lei signor Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale.
Il presunto legame con il caso di Gianni Versace
I sostenitori di Chico Forti hanno anche ipotizzato un legame tra il suo caso e un’altra celebre vicenda giudiziaria: quella del presunto suicidio di Andrew Cunanan, l’uomo accusato dell’omicidio di Gianni Versace, ucciso il 15 luglio del 1997 a Miami Beach, davanti alla sua casa, mentre rientrava da una passeggiata. Chico Forti, infatti, aveva girato “Il sorriso della medusa”, un documentario per Rai 3 sul caso Versace, in cui veniva messo in dubbio l’operato della polizia di Miami nella ricerca dell’effettivo assassino. Victoria Platzer, il giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna per Forti, in passato era stata membro della squadra investigativa che aveva indagato sul caso Versace. Della stessa squadra avevano fatto parte anche altri due detective che poi avevano svolto le indagini sull’omicidio di Dale Pike. Il sospetto dei “pro Chico” è che questi investigatori provassero risentimento nei confronti dell’imprenditore italiano per via di quello “scomodo” documentario.