Entrerà in vigore domani la Direttiva 2024/ 1260 del Parlamento europeo e del Consiglio Ue riguardante il “recupero e la confisca dei beni”. Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 2 maggio 2024, concede tempo agli Stati membri fino al 23 novembre 2026 per conformarsi alle nuove misure introdotte.
Uno dei princìpi cardine sanciti al suo interno lo si ritrova all’articolo 12, laddove si legge che «gli Stati membri adottano le misure necessarie per poter procedere alla confisca, totale o parziale, di beni strumentali e proventi derivanti da un reato in base a una condanna definitiva, che può anche essere pronunciata a seguito di un procedimento in contumacia».
A prima vista tale previsione potrebbe apparire maggiormente garantista rispetto alla nostra legislazione interna, che prevede la confisca anche in caso di assoluzione. Emblematico, in tal senso, è il caso della famiglia Cavallotti. In particolare, Vincenzo, Salvatore e Gaetano Cavallotti, tre fratelli di Belmonte Mezzagno, in provincia di Palermo, un tempo leader nel campo della metanizzazione, furono assolti dall’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso nel 2010 dalla Corte di Appello di Palermo eppure, nell’ambito del procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione, la Corte di Cassazione ha ritenuta definitiva, il 2 febbraio 2016, la confisca dei loro beni, tra cui diverse società, di proprietà loro o di loro familiari.
A fronte di una iniziale maggiore connessione fra giudizio penale e validità delle misure di prevenzione antimafia (e in generale “anti- crimine”), la nuova direttiva Ue, in alcuni passaggi successivi, sembra quanto meno controversa. Negli articoli 14 (“Confisca estesa”), 15 (“Confisca non basata sulla condanna”) e 16 (“Confisca di patrimonio ingiustificato collegato a condotte criminose”), si afferma che la confisca estesa, ad esempio, dovrebbe essere possibile anche quando «un organo giurisdizionale è convinto che i beni in questione derivino da una condotta criminosa», senza che sia necessaria la sussistenza di una condanna relativa a tale condotta. E ancora, all’articolo 15, la nuova disciplina eurounitaria statuisce esplicitamente che si può procedere a confisca, anche senza condanna,
«nei casi in cui un procedimento penale sia stato avviato ma non sia stato possibile farlo proseguire a causa di una o più delle circostanze seguenti: malattia dell’indagato o imputato; fuga dell’indagato o imputato; decesso dell’indagato o imputato; i termini di prescrizione per il reato in questione stabiliti dal diritto nazionale sono inferiori a 15 anni», ma soprattutto in virtù del fatto che «il valore dei beni è considerevolmente sproporzionato rispetto al reddito legittimo dell’interessato»; oppure perché «non vi è una fonte lecita plausibile dei beni» e «l’interessato è collegato a persone connesse a un’organizzazione criminale».
Insomma tutta una serie di eccezioni che sembrano vanificare, per molti aspetti, quanto previsto dall’articolo 12. Ma che impatto può avere, la direttiva 2024/ 1260, sia sulla legislazione italiana che sul procedimento dinanzi alla Corte europea dei Diritto dell’uomorelativo proprio al ricorso della famiglia Cavallotti, a cui si aggiungono altri 26 giudizi analoghi, sempre in materia di misure di prevenzione? Sul primo versante, va considerato che i tempi relativi al recepimento della direttiva sono lunghi: abbiamo già scritto all’inizio che l’Italia ha un margine di due anni. Inoltre, è solo entro il 24 novembre 2028 che la Commissione presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione in cui valuta l’attuazione di questa direttiva. E si arriva addirittura al 24 novembre 2031 perché la Commissione presenti al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione in cui valuta la direttiva, tenendo conto delle informazioni fornite dagli Stati membri.
Questa strada si intreccia con la citata decisione che dovrà prendere la Cedu in merito al ricorso Cavallotti e alle altre cause “gemelle”, un contenzioso ormai “sistemico” rispetto al quale, tra l’altro, l’Unione Camere penali è stata chiamata a esprimere un parere, in veste di amicus curiae, per tutti i procedimenti. Ma in realtà la direttiva non dovrebbe incidere, da questo punto di vista: innanzitutto, il ricorso dinanzi alla Corte di Strasburgo si basa esclusivamente sul contrasto tra le norme del diritto italiano e i princìpi generali del diritto europeo, in particolare della Convenzione europea dei Diritti umani, quali la presunzione di innocenza e il principio di tassatività di una norma (“nulla poena sine lege”), Convenzione che non può comunque essere modificata da una direttiva, che è di rango inferiore. In più, secondo l’avvocato Baldassarre Lauria, legale della famiglia Cavallotti, «questa direttiva è da un lato del tutto irrilevante per quanto concerne il procedimento dinanzi alla Cedu perché non contiene la previsione di una confisca in caso di assoluzione e dall’altro lato non è impattante sulla nostra legislazione, che sta avanti in senso peggiorativo, perché è davvero una mostruosità giuridica quella del sequestro dei beni a seguito di una sentenza di assoluzione». In pratica, ora come ora, il quadro giuridico italiano è peggiore di quanto preveda la direttiva.
L’Italia, quindi, nel recepirla non potrebbe mai arrivare a un livello di garanzie inferiori alle attuali. Anche se, come sottolinea lo stesso Pietro Cavallotti, «la confisca di prevenzione, che serve per colpire gli assolti, non ha ricevuto il riconoscimento da parte di questa direttiva. Pertanto possiamo considerarla più garantista del modello di confisca di prevenzione dell’Italia».