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RIPARAZIONE ERRORE GIUDIZIARIO - REVISIONE POST MORTEM - DIRITTO JURE PROPRIO UGUALE A QUELLO SPETTANTE AL DEFUNTO

Aggiornamento: 21 nov

Nel caso in esame, il giudice di merito, partito dal presupposto che i ricorrenti fossero titolari di un diritto jure proprio e non iure hereditario, ha negato il loro diritto alla riparazione. – La Corte così ha affermato che in effetti è principio tralaticiamente  secondo cui ai prossimi congiunti spetterebbe nella fattispecie in esame un diritto jure proprio.

E purtuttavia, detta affermazione  e’ tesa unicamente ad escludere che il diritto azionato incontri i limiti conseguenti al principio per cui nemo plus iuris in alium trasferre potest quam ipse habet: nessuno puo’ trasmettere ad altri diritti di cui non sia titolare. Si e’ quindi affermato che la possibilita’ di far valere – iure proprio e non gia’ jure hereditario – un diritto omogeneo, qualitativamente e quantitativamente, a quello, in tesi, spettante al condannato, in caso di revisione, ovvero al soggetto sottoposto a misura custodiale, in caso di riparazione per ingiusta detenzione, ancorche’ al momento della morte dello stesso non ne fossero ancora maturate tutte le condizioni, e’ espressamente riconosciuto dall’articolo 644 c.p.p., comma 1, “al coniuge, ai discendenti e ascendenti, ai fratelli e sorelle, agli affini entro il primo grado e alle persone legate da vincolo di adozione” con il condannato, ancorche’ questi sia deceduto “prima del procedimento di revisione” o, in caso di ingiusta detenzione, prima della sentenza assolutoria.

In buona sostanza,  il riferimento ad un’azionabilita’ jure proprio del diritto in questione va inteso nel senso che la legittimazione ad agire discende non dai principi generali della successione mortis causa, ma ai soggetti espressamente indicati dall’articolo 644 c.p.p..

E’ stato precisato che questi propongono in pratica la stessa domanda che sarebbe spettata al defunto (confr. Cass. pen. 4, udienza 12 dicembre 2006, Bianco; Cass. pen. 4, 8 giugno 2007, n. 22502).

Il loro diritto e’ quindi commisurato a quello della persona defunta e ingiustamente detenuta. Tanto e’ vero che la norma attribuisce loro il diritto sorto a favore del defunto (“il diritto alla riparazione spetta al coniuge…….”) e prevede, al comma 2, che ad essi non possa essere attribuita una somma maggiore di quella che sarebbe spettata al prosciolto. La norma attribuisce quindi alle persone in questione il diritto alla riparazione spettante al congiunto defunto di cui quindi il legislatore ha escluso la natura strettamente personale cui conseguirebbe l’intrasmissibilita’.

Corte di Cassazione, Sezione 4 penale,  Sentenza 4 agosto 2014, n. 34265

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