Progetto InnocentI

Beniamino Zuncheddu assolto, nel processo di revisione, dalla Corte di Appello di Roma dopo 33 anni di carcere da innocente per la strage di Sinnai

La Corte di Appello di Roma ha accolto la richiesta di revisione presentata dal Procuratore Generale di Cagliari, Francesca Nanni

 

La vicenda

Torniamo allora al buio di quella sera: l’8 gennaio 1991, in un ovile di Su Enazzu Mannu (Sinnai), un fucile fa fuoco su Gesuino Fadda di 57 anni, suo figlio Giuseppe di 25 e il loro pastore Ignazio Pusceddu, 57 anni anche lui. Il quarto uomo, Luigi Pinna (genero di Gesuino: è sposato con la figlia Daniela), colpito alla gamba e alla spalla, respira in silenzio senza darsi per vinto: la mattina dopo lo troveranno ferito ma vivo le forze dell’ordine, unico sopravvissuto al massacro. L’eccidio di Sinnai ha un testimone ma subito appare incerto. Chi ha fatto fuoco, spiega, aveva il volto coperto da una calza di nylon. Siamo nell’Italia del pentapartito che si prepara alla rivoluzione felpata del pool milanese e alle Mani pulite dell’anticorruzione. A chi interessano gli allevatori del Cagliaritano? Ne parlano per un po’ le cronache nazionali ma poi il caso scivola giù sulle pagine locali e i tormenti del supertestimone Pinna finiscono nel cono d’ombra mediatico. Il pubblico ministero dell’epoca si indirizza verso un movente «agropastorale», mucche trucidate con vecchi fucili al confine fra ovili, gli allevatori hanno la loro ferocia e punto. Si fa avanti però un ambizioso dirigente di polizia, Mario Uda, che vuol chiudere la faccenda, archiviare il faldone della procura trovando un colpevole. Fa sapere, allora, ai magistrati dell’epoca di aver ricevuto una confidenza speciale, una dritta. L’autore del triplice omicidio, denuncia, è un servo pastore con la seconda media: si chiama Beniamino Zuncheddu. Il sopravvissuto Pinna, tornando sui suoi passi, lo indica come responsabile della mattanza. Il servo pastore finisce dentro a ventisei anni, cinque mesi prima sua madre è morta in un incidente stradale, lui è già provato e quasi incapace di combattere contro quella che appare una circostanza più grande di lui. Il tempo trascorre lento quando si sta in una cella finché nel 2017 accade qualcosa.

Il nuovo scenario

Il nuovo difensore, Mauro Trogu, un avvocato che, all’epoca, non ha ancora quarant’anni porta avanti indagini difensive. Studia di buona lena il caso del rapimento coevo di Giovanni Murgia che si era concluso positivamente dietro il pagamento di un riscatto di 600 milioni di lire e rintraccia dei punti in comune. Il massacro di Sinnai cambia tonalità e da truce vicenda pastorale diventa sanguinoso indotto di un antico business sardo, quello dei rapimenti. Il fascicolo Zuncheddu viene riaperto dalla Procura di Cagliari che dispone nuove intercettazioni. Si controllano i cellulari e, sorpresa, emergono nuovi elementi che tradotti dal perito della Procura (il dialetto sardo si conferma complesso) rivelano un’altra storia.

L’inganno

Pinna, spossato, confida a sua moglie l’inganno. Affiora in particolare che il sopravvissuto, trentadue anni prima, era stato sottoposto a pressione, la foto del giovane Beniamino Zuncheddu gli era stata prima mostrata da Uda quindi era stato invitato a riconoscerlo come il killer dell’ovile. Lei, Daniela Fadda, sottolinea come sia importante mantenere sempre la stessa versione dei fatti. Qualunque reato un magistrato possa ravvisare in questa presunta manipolazione delle prove da parte dell’ambizioso Uda oggi sarebbe prescritto. Però. C’è un però. Anche una giustizia lenta e lacunosa, stavolta, non può voltarsi dall’altra parte, deve fare i conti con l’enormità della scoperta. Ricorda l’avvocato Trogu: «Ho bussato a varie porte per cercare di far capire la necessità di porre rimedio a quella ingiustizia e ogni volta che quelle porte restavano chiuse perdevo sempre più fiducia nel sistema della giustizia. Poi, però, alcune porte si sono aperte, persone di spessore straordinario hanno iniziato a voler ascoltare quella storia e con il loro lavoro hanno messo in moto una macchina che è arrivata fin qui».

La bugia originale

Ricapitoliamo allora: ci sono le nuove intercettazioni nelle quali Pinna confida in modo inequivocabile il peccato originale di quel riconoscimento che ha aperto le porte dell’ergastolo a Zuncheddu. E c’è un nuovo movente che i magistrati rintracciano all’interno del rapimento Murgia. Le vittime di Sinnai, i Fadda, avrebbero avuto qualche legittimo appetito verso il riscatto pagato per liberare Murgia. Dunque sarebbero diventate rivendicative e ingombranti. È un radicale cambio di prospettiva. La pg Nanni indirizza alla Corte d’Appello di Roma, competente a decidere, una corposa istanza di revisione (firmandola con Beniamino). «La dinamica dell’assalto all’ovile ricostruita nei punti precedenti consente di sostenere che gli omicidi furono commessi da un professionista del crimine per causali molto più rilevanti di qualche pallino sparato contro delle bestie» scrive. Tutto procede velocemente allora? Macché. La richiesta di revisione affonda nella palude delle pendenze processuali romane, circa 50mila fascicoli di arretrato (censite nel 2016 dall’allora presidente della Corte d’Appello Luciano Panzani, forse al momento sono di più). Beniamino ora deve guardarsi anche dalla burocrazia.

Un’istanza di scarcerazione al Tribunale di sorveglianza di Cagliari, intanto, viene respinta. Scatta il ricorso di Trogu. La Cassazione riconosce che non vi è un motivo valido per tenerlo ancora dentro ma nulla si smuove se non che anche dalla Procura generale presso la Corte d’Appello di Roma viene chiesta la revisione del processo. L’avvocato, con tutti i suoi dubbi, porta avanti la propria battaglia. «Quando ho letto» confida «per la prima volta la sentenza della Corte d’Assise d’appello di Cagliari che nel 1992 aveva confermato la condanna all’ergastolo di Beniamino ho avuto paura. Ho pensato che se un giudice può valutare le prove in quel modo nessun cittadino può sentirsi al sicuro». Don Giuseppe Pisano, intanto, il parroco del paese da cui viene Beniamino lo ricorda nelle sue omelie e tiene i rapporti con Augusta. La garante dei diritti dei detenuti di Cagliari, Irene Testa, chiede un nuovo processo. C’è chi come il fotografo Alessandro Spiga realizza un servizio per lui, gli scatti lo mostrano compito nella sua rassegnazione. Un piccolo movimento d’opinione inizia a farsi strada. E Zuncheddu può usufruire di un permesso per lavorare al mattino all’esterno delle mura carcerarie: in un bar al centro di Cagliari, Le Bon Bec Cafè. E la domenica può pranzare a casa della sorella.

La richiesta di grazia

Una richiesta di grazia è stata inviata al Quirinale per Zuncheddu, detenuto «modello» per il rispetto degli orari e delle norme penitenziali, la capacità di sopportazione e la dignità dell’uomo, remissivo e collaborativo che si è sempre sforzato di convivere con l’inaccettabile realtà. E il presidente della Camera Penale di Roma, Gaetano Scalise commentava: «Beniamino ha diritto di veder definito in tempi ragionevoli un processo di revisione in cui sono emersi fatti che fanno pensare al suo coinvolgimento in un drammatico errore giudiziario». Da novembre scorso un  primo risultato:  Beniamino può affrontare gli ultimi mesi di processo in libertà. Il giorno dopo la sua scarcerazione, accanto alla garante dei diritti dei detenuti della Sardegna Irene Testa, dirà: «Non sono l’unico, ci sono altri innocenti nelle carceri, chi avrà voglia di leggersi le carte troverà la verità».

La sentenza

Infine ieri la sentenza della Corte d’Appello di Roma dopo il processo di revisione. I giudici hanno revocato l’ergastolo facendo cadere le accuse per Zuncheddu con la formula «per non avere commesso il fatto». «Per me è la fine di un incubo», ha affermato l’ex allevatore apparso visibilmente emozionato. La Corte d’Appello ha, quindi, accolto le richieste del procuratore generale, Francesco Piantoni, che nel corso della requisitoria ha ricostruito trent’anni di vicenda giudiziaria ponendo al centro del suo discorso la credibilità di Luigi Pinna, oggi 62enne.

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