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MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI - CORTE COSTITUZIONALE - LEGITTIMA LA NORMA SULLE IMPUGNAZIONI NEL TERMINE DI DIECI GIORNI

Con ordinanza del 22 luglio 2014 (r.o. n. 202 del 2014), la Corte di cassazione, quinta sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, una questione di legittimità costituzionale «del combinato disposto» dell’art. 4, undicesimo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità) e dell’art. 3-ter, secondo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), «ora art. 10, comma 3, e art. 27, co. 2», del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), «nella parte in cui limitano alla sola violazione di legge la proponibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti di confisca adottati nell’ambito dei procedimenti di prevenzione».

In particolare, il ricorrente ha dedotto il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, per inesistenza e mera apparenza della motivazione sulla pericolosità sociale, e ha prospettato il medesimo vizio rispetto all’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, per quanto riguarda sia gli indizi di appartenenza all’associazione mafiosa, in rapporto alla produzione di proventi illeciti, sia la ritenuta sproporzione tra le disponibilità lecite del proposto e il valore degli investimenti realizzati.

La sentenza ha esposto che la misura di prevenzione patrimoniale della confisca è stata concepita, unitamente al sequestro, come strumento di contrasto nei confronti delle associazioni di tipo mafioso ed è stata introdotta nel sistema delle misure di prevenzione con l’art. 14 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, alla legge 10 febbraio 1962, n. 57 e alla legge 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), attraverso l’inserimento delle relative disposizioni nella legge n. 575 del 1965 sulle misure di prevenzione antimafia.

Con questo inserimento il legislatore aveva realizzato uno stretto collegamento tra misure personali e misure patrimoniali, nel senso che il sequestro dei beni poteva essere disposto solo nell’ambito di un procedimento relativo alle misure personali, di cui la confisca presupponeva l’applicazione. È vero che, per effetto di alcune modificazioni legislative intervenute successivamente, tale presupposto, oggi, in alcuni casi, può mancare, ma non è questa una ragione che possa far ritenere mutata la natura della confisca, la quale continua a costituire una misura di prevenzione e ad essere applicata attraverso il relativo procedimento (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 26 giugno 2014, n. 4880/2015).

Le impugnazioni contro i provvedimenti relativi al sequestro e alla confisca sono disciplinate con un rinvio ai commi ottavo, nono, decimo e undicesimo dell’art. 4 della legge n. 1423 del 1956 (testo legislativo fondamentale delle misure di prevenzione), effettuato dall’art. 3-ter della legge n. 575 del 1965 (introdotto dalla legge n. 646 del 1982), che regolano le impugnazioni contro i provvedimenti relativi alle misure di prevenzione personali. Per effetto di questo rinvio, «è ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge» anche nei confronti del provvedimento della Corte d’appello relativo alle misure di prevenzione patrimoniali, e, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, questa formula fa escludere che il ricorrente possa dedurre il vizio di motivazione previsto dall’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. Infatti, si ritiene che con il ricorso per cassazione “per violazione di legge” il ricorrente, oltre alla mancanza assoluta della motivazione, possa denunciare solo un difetto di coerenza, di completezza o di logicità della stessa, tale da farla di fatto ritenere “apparente” e inidonea a rappresentare le ragioni della decisione; ed è appunto questa limitazione a formare oggetto della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione.

Con riferimento all’aspetto processuale, deve ritenersi, tra l’altro, non concludente l’argomento dell’ordinanza impugnata, che pone a confronto il procedimento per la confisca di prevenzione, disgiunto da quello per la misura personale, con il procedimento di esecuzione per la confisca ex art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, disgiunto dal processo penale, e rileva che in quest’ultimo procedimento, con il ricorso per cassazione contro l’ordinanza che dispone la confisca, può censurarsi la motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., mentre nel procedimento di prevenzione ciò non è consentito. Il giudice rimettente infatti non considera che, mentre nel procedimento di prevenzione è previsto il «ricorso alla Corte d’appello, anche per il merito» (art. 4, decimo comma, della legge n. 1423 del 1956), in quello di esecuzione è previsto solo il ricorso per cassazione. Quindi anche sotto questo aspetto emerge la differenza tra i due sistemi e, dopo un secondo grado di merito, ben può giustificarsi la limitazione del sindacato sulla motivazione.

Gli altri aspetti, richiamati dall’ordinanza di rimessione, secondo cui entrambi i provvedimenti vengono adottati nell’ambito di un procedimento dal carattere giurisdizionale e si concludono con provvedimenti definitivi, anche se suscettibili di revoca, non appaiono tali da indurre a superare le rilevanti diversità tra i due procedimenti, che si riferiscono a situazioni sostanziali differenti. Al riguardo, questa Corte, nell’ordinanza n. 275 del 1996, ha già avuto occasione di sottolineare «le profonde differenze, di procedimento e di sostanza, tra le due sedi, penale e di prevenzione: la prima ricollegata a un determinato fatto-reato oggetto di verifica nel processo, a seguito dell’esercizio dell’azione penale; la seconda riferita a una complessiva notazione di pericolosità, espressa mediante condotte che non necessariamente costituiscono reato».

Né per sostenere la violazione dell’art. 3 Cost. può farsi utilmente riferimento, come tertium comparationis, alla confisca prevista dall’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, dato che recentemente la Corte di cassazione, a sezioni unite, ha negato la possibilità di equiparare le due forme di confisca.

Secondo le sezioni unite, infatti, «La diversa struttura normativa delle due fattispecie, con le diverse ricadute operative, già esclude che possa porsi la prospettata unità di ratio legis». È chiaro, infatti, hanno aggiunto le sezioni unite, «che la finalità di impedire l’utilizzo per realizzare ulteriori vantaggi (non necessariamente reati) – coerente con i profili economici della sostanza della prevenzione – ben si distingue dalla finalità propria di una misura di sicurezza atipica che comunque, attraverso l’ablazione, mira principalmente ad impedire la commissione di nuovi reati» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 29 maggio 2014, n. 33451).

Al riguardo, va sottolineato che «Le peculiarità del procedimento di prevenzione devono […] essere valutate alla luce della specifica ratio della confisca in esame, una ratio che, come ha affermato questa Corte, da un lato, “comprende ma eccede quella delle misure di prevenzione consistendo nel sottrarre definitivamente il bene al “circuito economico” di origine, per inserirlo in altro, esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo” e, dall’altro, “a differenza di quella delle misure di prevenzione in senso proprio, va al di là dell’esigenza di prevenzione nei confronti di soggetti pericolosi determinati e sorregge dunque la misura anche oltre la permanenza in vita del soggetto pericoloso” (sentenza n. 335 del 1996)» (sentenza n. 21 del 2012).

Il sistema delle misure di prevenzione ha dunque una sua autonomia e una sua coerenza interna, mirando ad accertare una fattispecie di pericolosità, che ha rilievo sia per le misure di prevenzione personali, sia per la confisca di prevenzione, della quale costituisce «presupposto ineludibile», e, una volta giudicata infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, undicesimo comma, della legge n. 1423 del 1956 (sentenza n. 321 del 2004) rispetto alle misure personali, sarebbe irrazionale il sistema che si verrebbe a delineare ritenendo invece fondata l’analoga questione relativa alla confisca di prevenzione. Si determinerebbe, infatti, una diversa estensione del sindacato della Corte di cassazione sul provvedimento impugnato, anche in relazione al medesimo presupposto della pericolosità del proposto, a seconda che venga in rilievo una misura personale o una misura patrimoniale, e l’irrazionalità sarebbe evidente qualora le due misure fossero adottate con lo stesso provvedimento, come appunto è avvenuto nel giudizio a quo.

Non vale osservare che, in taluni casi, la confisca può essere disgiunta dall’applicazione della misura di prevenzione personale, perché non è su questi casi particolari che può costruirsi un sistema nel quale, fin dalla loro introduzione con l’inserimento nella legge n. 575 del 1965, le misure patrimoniali sono state collegate a quelle personali.

Se si considera che la pericolosità, sulla quale si basano le misure di prevenzione personali, costituisce il presupposto di quelle reali, non può sostenersi che, quando, come è avvenuto nel caso in esame, il provvedimento impugnato le riguarda entrambe, il sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione possa essere diverso rispetto alle due misure. Né può pensarsi che la censura relativa alla motivazione sulla pericolosità debba rimanere nell’ambito della violazione di legge, quando il provvedimento impugnato riguarda sia la misura personale, sia quella patrimoniale, e possa invece estendersi ai casi previsti dall’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., quando il provvedimento impugnato riguarda esclusivamente la misura patrimoniale e la pericolosità forma oggetto, come si ritiene possibile, solo di un accertamento incidentale.

La Corte ha concluso dunque che la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione è priva di fondamento.

CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA NR. 106/2015 DEL 15.04.2015-09.06.2015

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