Causa Viola c. Italia – Terza Sezione – sentenza 29 giugno 2006 (ricorso n. 8316/02)
(in materia di detenzione in regime di applicazione dell’articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975: constata la violazione degli articoli 6 e 8 CEDU, relativi, rispettivamente, al diritto ad un equo processo, sotto il profilo del diritto all’esame del merito dei ricorsi, nonché al diritto al rispetto della vita privata e familiare, sotto il profilo della libertà di corrispondenza)
Fatto. Ricorso proposto, ai sensi degli artt. 3 (proibizione della tortura), 6 (diritto ad un equo processo), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 CEDU (divieto di discriminazione), da un detenuto condannato alla pena della reclusione per dodici anni per il delitto di associazione mafiosa e alla pena dell’ergastolo per omicidio e sequestro di persona. A partire dal 22 luglio 2000, il ricorrente era stato sottoposto al regime di detenzione speciale previsto dall’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975 e successive modificazioni, misura reiterata con otto distinti provvedimenti, tutti oggetto di separati ricorsi proposti dal ricorrente. L’organo competente si era pronunciato, in occasione di ogni ricorso, oltre i termine di dieci giorni previsto dalla citata legge. Nel caso del ricorso contro il quarto provvedimento il tribunale adito aveva dichiarato l’impugnazione irricevibile, essendo spirato il termine di efficacia del provvedimento stesso. Tutti gli altri ricorsi erano stati respinti. La corrispondenza del ricorrente era stata sottoposta a regime di controllo a partire dal 3 agosto del 2000, misura più volte prorogata dal giudice dell’esecuzione, da ultimo con atto del 24 dicembre 2004. I reclami del ricorrente avverso tali misure erano stati dichiarati irricevibili dal medesimo giudice dell’esecuzione.
Decisione. La Corte ha preliminarmente richiamato, quanto alle fonti di diritto nazionale, le sentenze Ospina Vargas c. Italia del 2004 e Ganci c. Italia del 2003. Ha richiamato, inoltre, la sentenza n. 4599 del 2004 della Corte di Cassazione italiana con la quale è stata affermata la sussistenza dell’interesse del detenuto ad ottenere una decisione, anche tardiva, sul proprio reclamo avverso un provvedimento adottato ai sensi dell’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975, considerati gli effetti di tale decisione su provvedimenti dello stesso tenore adottati successivamente.
Con riferimento alle doglianze del ricorrente fondate sull’art. 3 CEDU, la Corte ha ricordato che il trattamento per il quale si ricorre deve presentare un minimo di gravità, il cui apprezzamento ha natura relativa ed è effettuato astraendo dalla natura del reato addebitato, poiché il divieto previsto dall’articolo in questione è assoluto. Nel caso del ricorrente, le motivazioni dei provvedimenti adottati nei suoi confronti non apparivano sproporzionate rispetto ai fatti che gli erano stati addebitati e la sofferenza o l’umiliazione per il ricorrente stesso non avevano superato quel livello che, inevitabilmente, comporta una specifica legittima forma di trattamento o di pena. Inoltre, il ricorrente non aveva addotto, avanti la Corte, elementi che consentissero di ritenere ingiustificata la proroga delle misure restrittive subite.
Pertanto, avuto riguardo all’età e allo stato di salute del ricorrente, la Corte ha ritenuto che il regime ex art. 41-bis della legge sull’ordinamento penitenziario non avesse raggiunto quel minimo di gravità necessaria per ricadere nell’ambito sanzionato dall’art. 3 CEDU, del quale non ha ravvisato violazione.
Con riferimento alle doglianze fondate sull’art. 8 CEDU, la Corte ha ritenuto infondate quelle riferite alle restrizioni delle visite di familiari sulla base delle argomentazioni già svolte con riferimento all’art. 3 CEDU. Comunque la Corte ha ricordato di essersi già pronunciata sulla compatibilità di tali restrizioni con l’art. 8 CEDU con la sentenza sul caso Messina c. Italia del 2000: con tale pronuncia aveva rilevato che il regime ex art. 41-bis della legge sull’ordinamento
penitenziario mirava a spezzare i legami tra detenuto e ambiente criminale d’origine, considerato che, specie per i reati di mafia, le relazioni familiari giocano un ruolo primordiale.
La Corte ha, invece, ravvisato la violazione dell’ art. 8 CEDU con riferimento alle misure di controllo della corrispondenza: infatti, pur preso atto dell’entrata in vigore della legge n. 95/2004, che ha modificato la legge sull’ordinamento penitenziario, con specifico riferimento alla regolamentazione del controllo della corrispondenza dei detenuti, ha constatato che le citate modifiche legislative non incidono sulle violazioni intervenute in precedenza, riconducibili all’assenza di una norma che prevedesse presupposti, durata, estensione delle misure restrittive e modalità di esercizio del potere di irrogazione.
La Corte, pertanto, ha attestato la violazione degli articoli 6 e 8 CEDU, rilevando che la constatazione delle violazioni intervenute costituisce sufficiente soddisfazione del danno morale lamentato.
La Corte ha poi ravvisato la violazione dell’art. 6 CEDU, par. l, con riferimento alle doglianze del ricorrente fondate sul fatto che i suoi ricorsi fossero stati esaminati oltre il termine di dieci giorni previsto dalla legge. Le valutazioni della Corte hanno in particolare posto l’accento sulla declaratoria di irricevibilità del ricorso avverso il quarto provvedimento poiché, in tal caso, la mancanza di qualsiasi decisione nel merito aveva annullato l’effetto del controllo giudiziario sul provvedimento stesso. D’altronde, se la legge nazionale prevede un termine di dieci giorni per la decisione dei ricorsi, la ragione della brevità del termine è da ricondurre all’impatto del regime speciale sui diritti dei detenuti e alla limitazione nel tempo della validità dei provvedimenti adottati.
È stato, invece, ritenuto infondato il motivo di ricorso basato sull’art. 14, poiché il ricorrente non aveva dimostrato di aver subito un trattamento diverso e deteriore rispetto a persone condannate per fatti di pari gravità.
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