Da 550 giorni Patrick Zaki è in stato di custodia cautelare in un carcere della capitale egiziana, e il Governo Italiano sembra essersi dimenticato. La sorella del giovane studente italiano, Marise Zaki, parla senza mezzi termini di un “gioco” tra i due paesi, dove i rispettivi interessi sembrano prevalere sulla libertà di Patrick. Molte cose non tornano. Patrick è stato fermato il 4 agosto 2020 all’aeroporto internazionale del Cairo, rientrava per una breve vacanza/visita ai suoi familiari dopo aver trascorso i sei mesi precedenti a Bologna dove aveva appena terminato la prima sessione di esami di un corso Erasmus all’Università di Bologna.
E’ stato arresto per alcuni post anti regime pubblicati sui social italiani, troppo poco anche per un paese dove la libertà di espressione sembra essere un sogno. C’è dell’altro. Con il papà malato, nei mesi scorsi finito anche in ospedale, e la madre a occuparsene, Marise Zaki è il perno di collegamento tra Patrick e i suoi legali dell’Eipr (Egyptian initiative for personal rights), l’ong con cui il 30enne ha collaborato a lungo prima del viaggio accademico in Italia: “È tornato il silenzio – aggiunge Marise Zaki – nessuno ci fornisce informazioni e aiuto sul suo caso, lasciandoci nel totale smarrimento. Le nostre richieste cadono nel nulla, non sappiamo quando sarà fissata la prossima udienza, quali siano le sue condizioni giorno dopo giorno, i suoi bisogni e i suoi problemi. L’Eipr aveva chiesto, proprio in nome di mio fratello, che Patrick fosse il simbolo della campagna vaccinale in cella, negli ultimi mesi abbiamo ribadito la richiesta, ma le istituzioni governative e carcerarie non muovono un dito.
Tra Italia ed Egitto appare ormai chiaro il rapporto di soccombenza del primo rispetto al secondo. Già il caso Regeni aveva dato dimostrazione dell’irrilevanza della politica estera italiana rispetto ad un paese, l’Egitto, con il quale la Repubblica intrattieni importanti rapporti commerciali. Dopo il silenzio, oramai definito sul caso Regeni e la resa delle autorità italiane, il caso Zaki apre una nuova ferita. Il parallelo è agghiacciante.
Samuel Thabet, l’avvocato di Zaki. Thabet ha spiegato che “Zaki è stato portato nell’ufficio dell’Agenzia della sicurezza nazionale all’interno dell’aeroporto, dove è stato bendato e trattenuto per 17 ore. È stato quindi trasferito in una sede della sicurezza nazionale della sua città di origine, Mansura, a circa 120 chilometri dal Cairo, dove è stato picchiato, spogliato e sottoposto a scosse elettriche sulla schiena e sulla pancia. È stato anche abusato verbalmente e minacciato di stupro”.
Nel commissariato di Mansura è stato interrogato in presenza del suo avvocato. Thabet spiega che gli agenti avevano degli screenshot della sua pagina Facebook e tentavano di accusarlo di aver pubblicato notizie false, incitato alla protesta, fatto appello al rovesciamento dello stato, di gestire un account sui social network che mira a “minacciare l’ordine sociale e la sicurezza e a incitare alla violenza e ad atti terroristici”. È stato anche interrogato a lungo sul suo lavoro sui diritti umani e sullo scopo della sua permanenza in Italia.
Il quotidiano, Akhbar al Youm, riporta l’opinione di Nashat al Dihy, presentatore del programma Carta e pennatrasmesso dalla tv satellitare egiziana Ten: Al Dihy pensa che l’organizzazione per i diritti umani Iniziativa egiziana per i diritti individualiserve a “diffondere l’omosessualità” e spiega in diretta che “questa faccenda è puramente interna all’Egitto”, approfittandone per fare un discutibile ritratto dello studente: “Questo Patrick è un omosessuale (l’omosessualità in Egitto è un crimine, ndr) che è andato a studiare per un master sull’omosessualità all’estero e che lavora per un’organizzazione di promozione dell’omosessualità”. Dopo avere anche insinuato che si tratta “sicuramente di un terrorista”, conclude: “È un cittadino egiziano, e il suo arresto è dunque una procedura al 100 per cento egiziana”. Il parallelo con un altro studente torturato a morte è inquietante: anche contro Regeni i mezzi d’informazione di regime egiziani avevano costruito una campagna di stampa con il pretesto dell’omosessualità.
Amnesty International Italia, in un suo rapporto, intitolato Egitto: “Tu ufficialmente non esisti”. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo, rivela “una vera e propria tendenza che vede centinaia di studenti, attivisti politici e manifestanti, compresi minorenni, sparire nelle mani dello stato senza lasciare traccia”.
Il quotidiano panarabo Al Araby al Jadid è però pessimista: nonostante il caso Regeni, i rapporti economici tra Italia ed Egitto si sono intensificati, in particolare sul fronte dell’energia – in seguito alla scoperta dell’Eni dell’enorme giacimento di gas Zohr – e della cooperazione militare. Al giornale sono pervenute informazioni sulla “possibilità imminente di un accordo sugli armamenti tra il Cairo e Roma per un importo di nove miliardi di euro. Si sta anche aspettando l’approvazione del governo italiano per vendere due fregate della marina militare all’Egitto per un totale di 1,5 miliardi di euro. Queste due navi si uniscono a quelle che il Cairo aveva precedentemente acquistato da Parigi. Un terzo atto dovrebbe includere il vero ‘grande affare’, la vendita di elicotteri e aerei da caccia del tipo Typhoon. Fonti diplomatiche europee al Cairo hanno anche rivelato ad Al Araby al Jadid che il Cairo aveva informato, lo scorso autunno, Roma e Parigi del suo desiderio di ‘aumentare l’efficienza delle sue forze navali ed espandere la flotta di fregate multitasking’, e che l’Italia dispone di strutture per fregate, che può fornire all’Egitto al più tardi nella primavera del 2020”.
In questo gioco di specchi, l’abbraccio tra le società civili di Italia ed Egitto si rende sempre più necessario, come testimonia l’immagine del murales di Laika apparso l’11 febbraio sui muri di villa Ada a Roma, nelle vicinanze dell’ambasciata d’Egitto in Italia, in cui si vede Giulio Regeni che abbraccia Zaki e promette che “questa volta andrà meglio”.