[Salvatore Mazzamuto]
Il problema della tutela dei diritti dei terzi di buona fede sui beni sottoposti a misure di prevenzione antimafia rappresenta un’occasione privilegiata per individuare il punto di equilibrio che l’ordinamento ha inteso stabilire tra l’interesse pubblicistico alla repressione del fenomeno criminale e l’esigenza di tutelare le situazioni giuridiche di soggetti estranei al reato1. La protezione del primo interesse richiederebbe un procedimento agevole e snello di cancellazione dei diritti e delle garanzie insistenti su tali beni, al fine di sottrarli, nel più breve tempo possibile, alla disponibilità di chi li utilizza, in vario modo, nell’attività illecita. Tale finalità si arricchisce poi del più ambizioso obiettivo di destinare i suddetti beni al servizio della collettività, inserendoli nel circuito virtuoso della funzionalizzazione ad interessi pubblici, operazione che rileva non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello simbolico2 e culturale. L’esigenza di salvaguardare le situazioni giuridiche facenti capo ai terzi, viceversa, è d’ostacolo al sacrificio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi medesimi a favore di chiunque altro vanti pretese contrapposte e, dunque, anche in favore dello Stato confiscante i beni in esame.
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