Progetto InnocentI

CONFISCA PROVENTI REATO SENZA CONDANNA – PRNCIPIO DI LEGALITA’ – PRESUNZIONE DI INNOCENZA – VIOLAZIONE

Viola il diritto di proprietà (di cui all’art. 1 Prot. 1) la confisca dei proventi del reato confermata dalla corte d’appello per fatti per i quali – alla condanna penale in primo grado – segua una sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato, se la motivazione della confisca risieda in un indirizzo giurisprudenziale non prevedibile al momento dei fatti medesimi.

Nel caso esaminato dalla Corte, dopo il richiamo dei principi di diritto che regolano la materia, si ribadisce che la confisca dei beni che derivano direttamente da una transazione illecita e che l’imputato non aveva diritto di ottenere non ha scopo punitivo, ma ha finalità ripristinatoria, mirando a ristabilire la situazione economica precedente e a evitare l’accumulo di beni di origine illecita da parte del reo.

La confisca per equivalente, che mancherebbe di un collegamento diretto tra il reato e i beni, mira invece a ristabilire la situazione economica precedente al reato imponendo un sacrificio corrispondente all’imputato e, pertanto, ha, di regola, carattere punitivo (v. n. 27 della sentenza).

In questo contesto, la Corte riconosce come la classificazione della confisca di somme di denaro ha dato origine ad interpretazioni divergenti: per un primo indirizzo la confisca di denaro dovrebbe sempre essere considerata come per equivalente, poiché è impossibile identificare materialmente il profitto o il prezzo del reato in questione; per un secondo indirizzo la confisca di denaro può essere considerata come confisca diretta se esiste la prova che il denaro deriva direttamente dalla commissione del reato in questione. Chiamate a risolvere il contrasto, le Sezioni Unite della Corte di cassazione (30 gennaio 2014, n. 10561), hanno condiviso un terzo indirizzo interpretativo, secondo cui, invece, la confisca di denaro deve essere sempre considerata come una forma di confisca diretta, stante l’assenza di qualsiasi connotato di autonomia quanto alla identificabilità fisica del denaro (bene fungibile per eccellenza).

Ciò chiarito, la Corte si sofferma sul contrasto giurisprudenziale interno, relativo alla possibilità di disporre una confisca nei confronti di un soggetto andato esente da pena per estinzione del reato dovuta a decorsa prescrizione, contrasto risolto in senso positivo dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 31617 del 21 luglio 2015 (caso “Lucci”). Con tale pronuncia viene, infatti, ammessa tale possibilità, a condizione però che, in primo grado, vi sia stata condanna e che il relativo accertamento di merito rimanga invariato quanto all’esistenza del reato, alla responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato.

Così ricostruito il quadro normativo, la Corte ritiene la confisca una misura restitutoria, simile addirittura alla ripetizione dell’indebito (v. n. 74 della sentenza); non potendosi applicare l’art. 7 CEDU, essa dichiara inammissibile il primo motivo dei ricorsi.

Quanto invece all’art. 6, comma 2, CEDU la Corte imposta il ragionamento diversamente. Essa rammenta che la presunzione di innocenza ha un duplice significato: per un verso, in una prospettiva processuale, essa impone il rispetto di alcuni requisiti relativi, tra l’altro, all’onere della prova, alle presunzioni legali di fatto e di diritto, al divieto di autoincriminazione, alla pubblicità preliminare e alle espressioni premature, da parte del tribunale o di altri pubblici ufficiali, di colpevolezza dell’imputato; per un altro, in un’ottica sostanziale, essa costituisce un istituto posto a protezione dell’individuo, assolto da un’accusa penale ovvero nei confronti dei quali il procedimento penale si è comunque definitivamente interrotto (es. per archiviazione; per sentenza di non doversi procedere in conseguenza dell’estinzione del reato), affinché egli non sia trattato dall’autorità pubblica quale colpevole del reato originariamente contestato (v. nn. 122-125).

Alla luce di tali coordinate interpretative, la Corte conclude (cinque voti contro due) nel senso della violazione dell’art. 6, comma 2, CEDU, non ritenendo compatibile la presunzione convenzionale di innocenza, nel secondo senso testé chiarito, con l’applicazione di una confisca fondata su una dichiarazione di sostanziale addebito di responsabilità penale riferita a un reato prescritto per il quale l’imputato, concluso il giudizio per dichiarata estinzione del reato, è andato esente da pena.

Né la Corte EDU si dice persuasa dall’argomento per cui – così ragionando – si smentirebbe il precedente della Grande Chambre GIEM c. Italia del 2018 (v. Quaderno n. 15 (2018), pag. 37 ss.), secondo il quale la confisca urbanistica, che segua alla dichiarazione di prescrizione del reato edilizio, non viola l’art. 7 CEDU. Essa, viceversa, conferma che la confisca senza condanna non viola l’art. 7 ma invece contrasta con l’art. 6, comma 2, della Convenzione.

Ritenendo violato l’art. 6, comma 2, necessità logica vuole che la Corte EDU ravvisi violato anche l’art. 1 Prot. 1, poiché l’interferenza con il diritto di proprietà, per essere legittimo e proporzionato, deve anzitutto avere una base legale prevedibile. Essendo invece la confisca senza condanna derivata da un panorama giurisprudenziale chiaritosi solo successivamente ai fatti (v. la menzionata sentenza delle Sezioni unite Lucci) e, comunque, in violazione dell’art. 6, comma 2, CEDU, il requisito principale manca. Di qui la constatazione della violazione e la condanna dell’Italia, in favore del solo Episcopo (il quale l’aveva chieste) a 20 mila euro per le spese.

Dev’essere precisato che nel n. 129, la sentenza qui sintetizzata sottolinea che la constatazione della violazione del principio di non colpevolezza non deve essere considerato d’ostacolo alla consolidata tendenza legislativa interna e al consenso europeo formatosi in materia sulla necessità e sulla praticabilità delle confische senza condanna.

Redigono opinioni separate in dissenso i giudici polacco Wojtyczeck e italiano Sabato.

Il giudice Wojtyczeck ritiene che (ai fini dell’art. 6, comma 2, CEDU) la sentenza di prescrizione del reato non sia una pronuncia che lascia in piedi l’innocenza dell’imputato, perché la rinuncia alla pretesa punitiva dello Stato è solo parziale. Per l’ordinamento nazionale, su cui la Corte EDU non può sindacare, una conseguenza vi è ricollegata (quella della confisca). Sicché la presunzione d’innocenza non è violata ma smentita dai fatti accertati.

Il giudice Sabato a sua volta (non solo aderisce all’opinione del collega polacco ma) stende una dissenting opinion lunga e articolata. Egli premette che la decisione di maggioranza è – a suo avviso – intrinsecamente incoerente. Per un verso, essa nega che vi sia stata violazione dell’art. 7 CEDU, perché la confisca per equivalente (che in Italia è una misura di sicurezza patrimoniale) non sarebbe una pena che ricade nell’ambito di applicazione del principio di legalità delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege). Per l’altro, invece, propende per la violazione della presunzione d’innocenza e anche del diritto di proprietà.

Il componente italiano della Corte EDU rimarca come quest’ultima conclusione sia anche in contraddizione con numerosi precedenti nei quali – pur essendo stato il giudizio sulla responsabilità penale archiviato o comunque interrotto per intervenuta prescrizione – la stessa Corte non abbia accertato la violazione della presunzione d’innocenza. Il principale tra questi è la recente sentenza della Grande Chambre Nealon and Hallam c. Regno Unito dell’11 giugno 2024, secondo cui l’art. 6, comma 2, CEDU non osta alla regola che – in caso di revisione di una condanna penale per fatti sopravvenuti che abbiano fatto venir meno la prova della colpevolezza (ma non condotto alla prova piena dell’innocenza) – non sia dovuto l’indennizzo per l’ingiusta detenzione.

Il giudice Sabato critica altresì il carattere laconico del riferimento (nel n. 129 della sentenza) al consenso internazionale maturato sull’istituto della confisca senza condanna, laddove invece si sarebbe dovuto dare massimo rilievo all’art. 15 della direttiva 2024/1260/UE che fa obbligo agli Stati membri di prevedere tale tipo di confisca. Per non dire – poi – che la Convenzione del Consiglio d’Europa contro il riciclaggio di Varsavia del 2008 prevede la confisca dei beni d’illecita provenienza anche se l’imputato deceda, fugga o goda della prescrizione del reato.

Per suo conto, al contrario, il giudice cipriota Serghides redige un’opinione concorrente in cui offre argomenti rafforzativi in ordine alla violazione della presunzione d’innocenza.

CASE OF EPISCOPO AND BASSANI v ITALY_250214_154651

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